C'era una volta "lu scuparu.."

Immagine articolo: C'era una volta “lu scuparu..“

Al transitare per le polverose strade del paese, nella tarda mattinata di un dì, dello scuparu, che conduceva un nobile e macilento asino, asservito al traino di una sgangherata carretta, ove venivano caricate ed esposte: scope, alcune cardate, scupazzi e scupina, piragne, corde di curina per stendere il bucato e curdiceddi, lavorate ed intrecciate con le foglie di palma di San Pietro o palma nana - in siciliano giummara -, si sentiva vociare “accattativi li scupi” e, talvolta, la sua voce veniva seguita dal raglio dell’asino.

Una donna dal viso scavato, tenendo in braccio un bambino in fasce - nutricu - con il capo protetto da una cuffietta di cotone - lu cuppuluneddu -, abilmente lavorata a maglie dalla nonna, vestita in nero lungo, con i capelli raccolti a murriuni, avvolti in un fazzulittuni, anch’esso nero e cu lu falari - grembiule - annodato alla vita, affacciandosi sul balataru, ossia l’uscio di casa, faceva segno con il braccio alzato ed a gran voce invitava lu scuparu ad avvicinarsi con il classico lessico: “assaveni ccà”.

Le abitazioni di allora erano costruite in un lotto di terreno, spesso preso a censo e recintato soventemente da fili di agave o da un muretto a secco, realizzato con le pietre del posto e, raramente, con conci di tufo. Erano caratterizzate dall’immancabile pozzo di forma circolare, scavato nel tufo, fino a captare una falda freatica. Ai lati del pozzo veniva collocata la pila per il bucato e lu pilacciuni per abbeverare gli animali, ricavati dai banchi di calcarenite del Santo Monte o di Rocca del Gallo, che formavano un trittico scultoreo di notevole bellezza rustica.

Al richiamo della donna, l’uomo le andava incontro, mostrandole la sua mercanzia. Ovviamente all’epoca ogni attrezzo aveva una funzione precisa:

   lu scupazzu veniva utilizzato per pulire lu solu del forno, ove veniva cotto il pane;
    la scopa normale serviva per spazzare l’aia, i cortili, gli androni e i locali più rustici dell’abitazione;
    lu scuparinu o scupinu trovava collocazione in cucina, vicino al focolaio.

La massaia faceva la scelta di quanto necessitava e si passava al mercanteggiare, contrattare e discutere sul prezzo dei prodotti.

Delle 3 lire, che chiedeva l’uomo, veniva offerta dalla donna 1 lira e 40 centesimi. Il gesto della proposta di pagamento era accompagnato dalla classica esclamazione “Cari sunnu!”; lu scuparu, allora, rimbrottava: “Ma ci pari chi li ivu a arrubbari?”.

Alla fine rompevano la differenza del prezzo e, con la controfferta di 2 lire e 30, si raggiungeva l’accordo.

Lu scuparu riprendeva la via, mormorando: “Mi chi fimmina tinta!”

Il Presidente dell'Archeoclub
Campobello Cave di Cusa
Antonino Gulotta

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