La questione idrica a Menfi tra storia, referendum e una tesi di laurea grazie alla giovane Maria Lombardo

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Con una tesi dal titolo “L’accesso alla risorsa acqua tra ragioni economiche e rivendicazioni sociali”, la palermitana Maria Lombardo ha conseguito, il 3 Marzo del 2017, la laurea triennale in “Sviluppo Economico e Cooperazione Internazionale”presso l' Università degli Studi di Palermo, con la votazione di 110/110 e lode e menzione. Noi di Belicenews abbiamo avuto il piacere di intervistarla. 

Di cosa parla la tua tesi? 

"La tesi si compone di un’analisi introduttiva nella quale si illustra l’importanza che l’accesso alla risorsa idrica ricopre per lo sviluppo e in cui si chiariscono le caratteristiche della crisi idrica globale e la necessità di optare per forme di gestione che siano in grado di far fronte alle svariate criticità esistenti. Sulla base di queste premesse, si ripercorre sinteticamente il lungo dibattito internazionale nato intorno alla risorsa acqua: si illustrano le ragioni che hanno spinto le Nazioni Unite a riconoscere ufficialmente l’acqua come bene economico nel 1992, per poi introdurre le ragioni alla base della corrente di pensiero che, riconoscendo all’acqua importanti peculiarità che si aggiungono alle caratteristiche che consentono di classificarla come bene economico, considera l’acqua come bene comune. 

Segue una descrizione dettagliata del materiale raccolto durante l’indagine esplorativa svolta tra Palermo e Menfi, Comune che ha portato avanti con fermezza e determinazione una mobilitazione civica contro la privatizzazione dei servizi idrici. Nel ripercorrere la storia del Comune in materia di gestione delle risorse idriche, si riportano anche informazioni riguardo lo scenario provinciale, regionale e nazionale.  Si prendono in considerazione importanti tappe che hanno segnato sia la Sicilia, quali l’iniziativa popolare per la proposta di legge regionale di ripubblicizzazione dell’acqua e la marcia sulle orme di Danilo Dolci, sia l’Italia, con l’immancabile riferimento al referendum nazionale del 12 e del 13 giugno 2011". 

Qual è la tua opinione in merito alla questione? 

"La tesi è stata un’occasione preziosa per conoscere e comprendere meglio il tema della gestione delle risorse idriche e la polarità che ne caratterizza il dibattito. Devo ammettere che all’inizio non ero pienamente consapevole della portata della questione in Sicilia. Sapevo dell’esistenza del problema ma la mia percezione era decisamente lontana dalla realtà, tanto che la mia proposta originaria verteva su altri aspetti. 

Fu durante il primo incontro con il mio relatore, il Professore Maurizio Giannone, che si delineò questa direzione. Mi suggerì delle letture e mi mise in contatto con Paolo Campo, Presidente del Comitato referendario della Valle del Belice “2 Sì per l’Acqua Bene Comune”

Gli approfondimenti, l’indagine esplorativa nel Comune di Menfi e gli incontri con Antonella Leto, Coordinatrice del Forum siciliano dei Movimenti per l’Acqua ed i Beni Comuni, mi hanno permesso di comprendere la rilevanza della questione e l’importanza della consapevolezza e della partecipazione civica. 

Ad oggi, le problematiche legate all’acqua incidono ancora sullo sviluppo del Mezzogiorno e sono fra le cause che contribuiscono alla permanenza del divario nord-sud. Non a caso, nel volume “Il potere e l’acqua” che raccoglie alcuni scritti di Danilo Dolci si legge “In ogni tempo, civiltà e gestione dell’acqua si identificano”. 

L’accesso alle risorse idriche è un diritto fondamentale che deve essere garantito e difeso al fine di assicurare il pieno sviluppo delle persone che compongono una società. Questa più che un’opinione è un dato di fatto che fortunatamente non costituisce terreno di scontro. Il pomo della discordia è la gestione delle risorse idriche. L’acqua, in quanto risorsa scarsa, deve essere amministrata per evitare il deterioramento della risorsa. La legge ammette tre forme di gestione: pubblica, privata, mista. 

Personalmente, varie ragioni mi hanno spinta a ritenere che la gestione del servizio idrico non vada privatizzata e debba essere non solo pubblica ma partecipata. Penso che sulla gestione delle risorse idriche non si possa speculare né fare profitto. Per garantire un servizio di qualità e sostenibile sia da un punto di vista economico che socio-ambientale servono sistemi tariffari che rispecchino i costi effettivi di gestione della risorsa.  L’affidamento a privati è stato spesso presentato e difeso come la panacea di tutti i mali, anche in situazioni come quella del Comune di Menfi, dove la performance dell’Amministrazione era migliorabile ma non disastrosa. 

Menfi, grazie all’impegno dei suoi cittadini, è riuscita a mantenere il controllo diretto del servizio idrico ma in altri Comuni le privatizzazioni ci sono state e, nonostante ciò, a distanza di anni il problema idrico in Sicilia persiste, a dimostrazione del fatto che privato non è necessariamente sinonimo di efficacia, efficienza ed economicità.  In proposito, colgo l’occasione per sottolineare che le voci che si levano per esprimere dubbi in merito agli effetti delle privatizzazioni sono  sempre più numerose. In particolare, si inizia a demistificare la narrazione secondo cui il godimento dei diritti umani sia neutrale rispetto al modello di fornitura scelto. 

A riguardo, di recente è stato pubblicato un interessante rapporto sul tema dei diritti umani e della privatizzazione delle risorse idriche, redatto da Léo Heller in qualità di Relatore Speciale delle Nazioni Unite. Per molto tempo si è sostenuto che una fornitura privata avesse lo stesso impatto di una fornitura pubblica sui diritti umani.  Il Relatore sottolinea che optare per una gestione privata piuttosto che pubblica incide in maniera diversa sulla possibilità di godere di tali diritti, poiché da diverse forme di gestione derivano effetti sociali ed economici distinti. È dunque importante valutare questi aspetti se si intende garantire il diritto umano all’acqua e ai servizi igienico-sanitari. 

Secondo Heller, ciò si può fare solo attraverso regolamentazioni che non si limitino a considerare l’acqua come una merce ma che adottino un approccio olistico nella definizione delle politiche di gestione. Le convinzioni maturate durante la ricerca per la tesi mi fanno condividere questa affermazione". 

Secondo i tuoi studi e le tue ricerche, come è stata amministrata la gestione delle risorse idriche a Menfi negli anni passati? 

"La coscienza dell’acqua è radicata nei cittadini di Menfi sin dalla fine dell’Ottocento. Allora, le risorse idriche del paese erano sostanzialmente tre: l’acqua della sorgente Agareni, scarsa e insufficiente rispetto al fabbisogno idrico della popolazione; l’acqua dei pozzi artesiani presenti all’interno dei cortili del paese, usata per uso domestico sebbene in larga parte inquinata; l’acqua fornita dai privati a costi eccessivi e non sostenibili per la maggioranza dei cittadini. 

La cattiva gestione delle risorse idriche non causava solo problemi d’accesso alla risorsa per le fasce più svantaggiate ma metteva in serio pericolo la salute pubblica in quanto favoriva l’insorgenza di diversi problemi sanitari, fra cui la diffusione di epidemie di colera. 

Grazie all’impegno del Sindaco Bivona, il quale ipotecò le sue stesse proprietà al fine di reperire il capitale necessario, fu creato l’acquedotto Favarotta. L’infrastruttura fornì al Comune e ai suoi cittadini l’accesso a fonti salubri e permise di migliorare notevolmente la qualità della vita dei cittadini. Questo capitolo della storia del paese si rivelerà particolarmente importante anche un secolo dopo. 

Nel 2002, in seguito al primo tentativo di privatizzazione del Servizio Idrico Integrato durante l’Amministrazione Lotà, sarà proprio la consapevolezza storica dell’eredità lasciata dal Sindaco Bivona a spingere il Comitato Civico Menfi Vive ad analizzare più attentamente l’opera di concessione. 

Tale analisi permise di comprendere che, contrariamente a quanto sostenuto dai promotori, i quali difendevano la necessità dell’attuazione del processo di privatizzazione sulla base di una presunta obbligatorietà sancita dalla legge 36/94 recante “Disposizioni in materia di risorse idriche” (cosiddetta Legge Galli), non esisteva alcuna imposizione giuridica. L’affidamento del servizio idrico ai privati era una delle tre opzioni possibili insieme alla gestione pubblica e mista. 

La legge non intendeva introdurre un modello di gestione privato ma si inquadrava nell’ottica di una filosofia di gestione “a carattere privatistico”, volta cioè all’ottimizzazione del servizio grazie all’applicazione dei criteri di efficienza, efficacia ed economicità. 

Il Comitato analizzò anche il piano d’azione comunale per la concessione del servizio, riscontrando che si trattava di un’operazione antieconomica per i cittadini e dannosa per il Comune che poteva farsi carico delle spese necessarie ad effettuare le migliorie del caso (prevalentemente interventi che richiedevano interventi modesti). In luce di tali considerazioni, il Comitato si è sempre opposto fermamente e attivamente alla privatizzazione del servizio. 

Per ragioni di brevità, mi limiterò a dire che la difesa dell’acqua pubblica fu un impegno che durò anni e che dura tuttora. Grazie all’impegno civico dei propri cittadini e ad un’importante campagna di sensibilizzazione dal basso, il Comitato è riuscito a diffondere una “coscienza dell’acqua” che le ha permesso di mantenere la gestione diretta del servizio idrico. 

Simili tentativi di privatizzazione si svolsero su tutto il territorio regionale e la grande maggioranza andò a buon fine. Le aggiudicazioni siciliane si svolsero con dinamiche deplorevoli: benché si trattasse di gare ad evidenza pubblica, per ogni provincia si riscontrò un solo partecipante, tanto da determinare l’intervento del garante della libera concorrenza. Emersero conflitti d’interessi a dimostrazione del fatto che le gare, più che espressione della libera concorrenza, si configurarono come l’instaurazione programmata di un regime monopolistico. La stessa Rita Borsellino, allora parlamentare, la definì “una spartizione a tavolino”. 

Il Forum dei movimenti per l’Acqua ed i Beni Comuni condusse un’intensa battaglia territoriale, provincia per provincia, per tentare di bloccare la privatizzazione. Si crearono alleanze con i Sindaci dei Comuni che non intendevano privatizzare, fra cui figurava anche Antonino Buscemi, Sindaco di Menfi. Fu così che Menfi divenne uno dei primi “Comuni ribelli” della Provincia di Agrigento. 

Si lavorò all’elaborazione di una proposta di legge regionale di ripubblicizzazione del servizio idrico. Grazie ai diritti riconosciuti dall’art.12 dello Statuto regionale, nacque la prima proposta di legge di iniziativa popolare e consiliare per l’acqua pubblica, esempio di redazione  partecipativa di un testo legislativo. 35.000 firme furono raccolte a sostegno della proposta di ripubblicizzazione, che fu presentata nel 2010. 

Si misero in atto diverse iniziative al fine di supportare e diffondere ulteriormente la mobilitazione per la difesa dell’acqua pubblica. Una di esse fu la marcia sulle orme di Danilo Dolci da Menfi a Palermo, svolta interamente a piedi dall’11 al 16 aprile 2011. Contestualmente, anche in tutta Italia si erano costituiti movimenti per la difesa della gestione pubblica dell’acqua che avevano avviato una raccolta firme per l’indizione del referendum nazionale del 12 e del 13 giugno 2011.  Con i primi due quesiti referendari, si chiedeva ai cittadini italiani di abrogare il decreto disciplinante le modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica (decreto Ronchi), e l’abrogazione del comma 1 dell’art.154 del decreto 152/06, disciplinante la remunerazione del capitale investito. 

Entrambi i quesiti raccolsero il favore della quasi totalità dei votanti, che fecero registrare un’affluenza alle urne del 54,8%. Il primo quesito raccolse il 95,8% dei sì, mentre il secondo il 94,05%. Questi dati testimoniano una volontà popolare fortemente contraria alla privatizzazione del servizio idrico. 

Ormai sono trascorsi dieci anni dal referendum e i cambiamenti che ad esso sono seguiti sono così pochi e limitati da permettere di dire che, nonostante la grandissima maggioranza raggiunta, il referendum è rimasto inascoltato. 

I privati sono ancora presenti, si continuano a distribuire dividendi e si continuano ad avanzare tentativi di privatizzazione dei servizi idrici, o di parte di essi. Persino a Menfi, modello di gestione virtuosa, è stata recentemente inoltrata l’ennesima proposta di privatizzazione di parte del servizio idrico. 

L’11 dicembre 2020, Pedro Arrojo-Agudo, Relatore Speciale dell’Onu sul diritto all’acqua, aveva espresso seria preoccupazione in merito alla notizia della quotazione in borsa dell’acqua da parte della Cme Group, società che ha lanciato il primo contratto collegato ai prezzi dei diritti sull’acqua in California.  A riguardo, il Forum dei movimenti per l’Acqua ha lanciato l’appello “Quotazione in Borsa dell’acqua: NO grazie”, che ha raccolto oltre 40.000 firme. Ciò dimostra che la difesa dei beni comuni necessita consapevolezza e vigilanza costante, in quanto gli interessi che vi gravitano intorno non si spengono mai". 

Quali sono, secondo te, le vie percorribili in futuro per la gestione del servizio idrico? 

"Il Recovery Plan potrebbe essere un’ottima occasione per reperire fondi per l’ammodernamento del servizio idrico, specialmente se si considera che attualmente l’attenzione dell’Unione Europea per le tematiche ambientali è molto alta e che la Commissione Europea ha predisposto specifici strumenti per ottemperare agli impegni presi con il Green Deal.  In materia di forme di gestione, il Comune di Menfi dimostra che dalle gestioni dirette possono scaturire modelli virtuosi, ragion per cui mi sento di affermare che la gestione diretta dell’acqua sia la via da prediligere. 

Risultano dannose anche le esternalizzazioni anche parziali del servizio. Un’altra strada percorribile è la costituzione di Aziende Speciali Consortili, come sostenuto dal Forum siciliano dei Movimenti per l’Acqua e da Federconsumatori Sicilia. Si tratta di enti strumentali di diritto pubblico dotati di personalità giuridica, autonomia imprenditoriale e di un proprio Statuto che permetterebbero ai Comuni di mantenere la proprietà degli impianti e la piena gestione delle risorse.  L’Azienda Speciale Consortile opera in autonomia gestionale con il duplice obiettivo di perseguire l’interesse pubblico e pareggiare il bilancio, reinvestendo in manutenzione, miglioramento del servizio, innovazione e ricerca".

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