Il culto di San Michele Arcangelo è molto diffuso in Sicilia, dove ogni 29 settembre in molti comuni si celebrano tradizionali feste in suo onore, o si riscontra una forte devozione alla sua figura. Uno di questi comuni è Menfi, dove l’Arcangelo godeva di un certo risalto nella sfera della sacralità del paese. In realtà non si sono mai celebrate feste in suo onore, e non vi è mai stata un’eponima chiesa (eccezion fatta per una temporanea chiesa nella baraccopoli chiamata appunto San Michele, costruita dopo il terremoto del 1968), ma era presente in alcune tradizioni menfitane che oggi si sono spente.
La prima attestazione che riguardi San Michele nella storia di Menfi è un racconto orale, tramandato da generazioni e giunto fino ai giorni nostri. Secondo questa storia, agli albori di Menfi, a pochi decenni dalla fondazione della città, gli abitanti della vicina Santa Margherita di Belìce acquistarono delle botti di vino dai menfitani. Mentre le botti venivano consegnate, i margheritesi scoprirono spiacevolmente di non avere più denaro a disposizione per pagare il vino.
Non sapendo come fare decisero di dare in pegno una piccola statua di San Michele, da usare ogni anno per l’Incontro di Pasqua, ma con una particolare clausola: la statua deve essere usata ogni anno, altrimenti i margheritesi avranno diritto di tornare a prendere la loro statua.
Di questa storia, così popolare e radicata, non c’è purtroppo alcun riscontro storico. Non esistono contratti scritti che imprimano con l’inchiostro questo patto. Inoltre non sappiamo se questo evento sia avvenuto davvero o se sia solo una leggenda, ma potrebbero esserci delle verità storiche.
La statua di San Michele potrebbe effettivamente essere di fattura margheritese, dato che Santa Margherita abbondava di immagini dell’Arcangelo, e quindi una di queste potrebbe essere finita a Menfi; poi è probabile che il simulacro sia di più antica origine rispetto a quelli di Cristo Risorto e di Maria Santissima Immacolata, usati la domenica di Pasqua insieme all'angelo, poiché scolpiti sulla base del primo.
La statua, oggetto dello scambio, sarebbe quella del piccolo San Michele che ogni anno si usa per il famoso Incontro di Pasqua. La statua lignea è interamente ricoperta da foglia d'oro, eccezion fatta per l'incarnato. Veste un elmo con un'alta criniera di piume, che copre i lunghi capelli biondissimi. La pelle scura, gli occhi azzurri, l'espressione severa e il collo largo e teso risaltano sul lungo mantello dorato, che ne avvolge interamente le spalle, il petto e ricade sulla schiena.
La mano sinistra, portata al fianco, trattiene il mantello dal cadere fino ai piedi, mentre il braccio destro è alzato fino all'altezza del viso, per reggere l'asta di una bandiera che viene fissata dopo. Le sottili ali di legno dorato sono removibili, e vengono fissate solo quando la statua viene portata fuori. Sulla pancia dorata è ben visibile la forma dell'ombelico, e i larghi fianchi sono cinti da una veste aurea che arriva fino alle ginocchia, coperta da delle splendenti fascette decorative.
Le bronzee ginocchia nude rompono la monotonia del fiume d’oro, ripreso poi dai lunghi sandali che in una matassa di lacci si attorcigliano sulle gambe. Da notare è l’assenza di una spada, un fodero o uno scudo o di qualsiasi arma, come anche la mancanza di un serpente, un drago o un qualunque altro riferimento a Lucifero e all’indole guerriera di San Michele, discostandosi così dalla tradizionale simbologia micaelica.
La mattina della domenica di Pasqua, la statua, fino ad allora posta in una casa del centro storico, viene portata fuori insieme a quella del Cristo Risorto. Qui viene ricoperta da centinaia di fiori intrecciati tra loro, che formano una grande e resistente copertura floreale che copre il simulacro fino al petto, sul quale viene posto una pettorina di stoffa rossa da cui pendono nove campanelle d’argento, che si dimenano e suonano rumorosamente durante la corsa. Al braccio destro viene fissata una bandiera, la cui asta è sormontata da un mazzo di fiori e sul cui rosso drappo biforcuto sono cucite in filo d’oro le lettere WSMA (Viva San Michele Arcangelo) con altre decorazioni floreali.
Pur non essendoci chiese o santuari dedicati al culto di San Michele, un luogo di culto a lui dedicato si trovava sull’odierna Via Boccaccio, prima del terremoto del 1968, quando questa via era ancora una strada di campagna che delimitava il confine del paese. Sui bordi di questa strada si trovava un’edicola votiva, la più grande tra le moltissime di Menfi, che aveva la forma di un alto pilastro decorato e sormontato da una cuspide piramidale.
Al centro vi era l’immagine dipinta di San Michele che schiaccia Lucifero col piede e con la spada. Era luogo di culto e devozione dove i menfitani si fermavano per invocare la protezione dell’Arcangelo. Non a caso a poca distanza si trovava la chiesa della Vergine del Soccorso.
Infatti entrambi questi santi schiacciano il Diavolo col piede, difendendo il popolo. Così San Michele e Maria del Soccorso erano uniti per difendere il popolo menfitano, ponendosi in un’alta strada di confine da cui sorvegliare tutto il paese fino al mare.
L’edicola di San Michele è stata barbaramente distrutta nel 1968 per far spazio alla baraccopoli post-terremoto, senza tener conto dell’importanza storica e culturale dell’opera, presente lì da secoli ma distrutta per qualcosa di temporaneo. Si trovava dove oggi sorge l’incrocio tra Via Boccaccio e Via Ognibene, all’angolo nord-est.
I menfitani tradizionalmente usavano recitare una litania a San Michele in dialetto:
“San Michiluzzu Arcangilu eccellenti
vui siti lu veru angilu di Diu
tiniti li valanzi cu ‘sta menti
e cusà l’arma mia eni fora mi l’aviti a diri,
l’armuzza mia m’paraddisu sta cuntenta
ma ora quannu eni n’grazia mi l’aviti a diri.
Patri nostru San Micheli
siti l’angilu di li cieli,
siti l’angilu maggiuri chi parlati cu lu Signuri,
ogni mali chi ni veni libiràtinni
San Micheli Pater, Gloria”